…è ora di tornare a casa, Giovanni.

di Renato Banchi

Questa raccolta è il racconto di un viaggio. Di un’ andata e di un ritorno. Di un amore che, inesorabilmente, nasce tra le pietre e i cespugli di rosmarino di un’isola greca e parte verso oriente fino all’India e alla Cina lontana, forse, al Giappone. E, poi, giunto all’estremità orientale del mondo, là dove nasce il sole, sente un desiderio, altrettanto inesorabile, di tornare a sé, di ritrovare, avendo attraversato il mondo, quella parte che per lui conta ed importa, nelle sue radici, ormai trasformate e trasfigurate dal viaggio, la pace dell’essere semplicemente nella beatitudine della coscienza. Questo viaggio è costato fatica, ha consumato entusiasmi giovanili, bruciato ideali, stroncato certezze, ma, forse, lascia dietro di sé, nella scia di profumi orientali che segue le carovane sulla Via della Seta, una dolcezza e il desiderio, ancora, di donarla.

L’antefatto

Lasciare che la tua immagine
si sfiori in giri offuscati
e ritmici, vada e non sia più,
è, sai, meno possibile del puro
impossibile, un “ciò” non verificabile,
un auspicio introvabile nei meandri
dei miei fegati tutti strapazzati
su lapidi bianche dove, senza di te,
sono freddo, da aruspici ingrati
e dementi, belli perché folli e
vestiti di bianco.
Allora s’arressano
le immagini della mia mente e sorge
come su di un piano bruno di sabbia
il culmine di una parola, anch’essa
tristemente un’arma che uccide e sgozza.
Svolazzano piume di gallo, che confondo,
al solito, con pennacchi e vessilli e
costruisco un piccolo mondo di favola.
Lento va il pensiero, tutto scorre
come un fiore nel fiume.
Ci accostiamo ora, prima di andare
a qualche segno sacro, non so quale,
ma sempre prima di morire s’incide
nel vivo del cuore l’immagine di te,
che viaggi, per conto tuo, nei (tuoi) padiglioni
ed accarezzi i (tuoi) simboli magici.
L’andito che ti porta a noi è stretto
e già, pur essendo indietro nel tempo,
ne strusciamo le pareti tra muschi e licheni,
da anni.
Puoi anche chiedermi se
la mia mano abbia, ogni tanto, dei tremiti
perché sai che è vero che sbaglio, ma
una gemma, o il crocicchio del mondo,
se ti accarezzo, scoppia di gioia
e tutto accade nell’universo irreale
che preparo, accorto alchimista,
condotto nei passi malfermi da una musica
chiara che da sempre è anche luce.
Lento va il pensiero, tutto scorre
come un fiore nel fiume.
Poi, si parte da qui e qui si ritorna
pesando, attenti, ogni mossa
ché troppi tranelli e ingarbugliati
enigmi nasconde la foresta, dove,
se sorridi, trapela, nel folto intruglio
di rami, la luce, come il suono
della cricca che apra il tuo cuore
e lo palpiti al di fuori del cielo
dove l’aria mi manca e dove
non posseggo più lacrime o gocce
di vita e t’invento una folle
brezza di saggezza che, nell’accudire
alle tempie pressate da un dito di terra,
mi salva dal primo cadere,
laggiù nella fossa, per me, giace
un bimbo, squarciato da un sorriso
verticale e celeste, non urla e non piange,
ma ancora sussurra: “Ti amo”.
Lento va il pensiero, tutto scorre
come un fiore nel fiume.
Continua il sentiero ed ora un masso
grigio (se anche fosse il peso
di un qualche peccato) mi rotola addosso,
uno solo da destra e sinistra m’insegue
ed ho di fronte la pietra senza piaghe
del (tuo) volto assente e finché dura
il mistero del tempo mi schiaccia
e m’affanna, ché passa e non torna
che passa e non passa, che posso vedere,
ma anche un battito, che siano ali
o il (tuo) cuore che vive, spezza nel centro
la massa oscura che ovunque si stende
se posso ora chinarmi e toccare,
per te, un fiore viola,
allora, le schegge di questo boato
non feriscono le mie carni
se non che scoppia nella mia mente
un’eco e sbatte ogni angolo
e posso, finalmente, essere dimentico (di te) di me.
Lento va il pensiero, tutto scorre
come un fiore nel fiume,
e una foce, uno sbocco, non c’è
solo la notte è fredda, il giorno
lungo e solitario, Giovanni l’amico
pazzo e distratto.

I sezione: Profumi d’oriente

Di quel che ieri e’ stato,
nulla so, che non sia memoria,
che non sia passato.
E nulla di ciò che sarà, saprò,
prima che non sia stato.
Solo(,)
l’Essere zampilla come fontana chiara,
mentre un istante dura
ogni nottata oscura,
ogni alba,
ogni misura.

 

 

Fino al tramonto del sole,
sto seduto,
immobile.
Quando viene la notte,
alimento l’olio della lampada.
sorge una nuova alba:
diecimila ombre sopra un muro.

 

Ecco uomini che piangono e angeli che gridano,
e uomini e angeli che piangono e gridano,
immenso termitaio di voluttà svuotate,
il mondo scivola fuori dalla porta.
Rotta orbita, morta, corre
sul filo dell’onda tra bianco, blu e azzurro

 

Là dove cava, l’onda, non si muove ancora,
o mai più,
in attesa di una resurrezione, ora, ti amo.

 

Né vita né morte
nel viaggio verso l’ essenzialità
tempo
neppure.

 

Il veritiero maestro
mostra i suoi errori.
La vergogna è sconfitta,
quieta la montagna,
azzurra.

 

Se cerchi di piegarlo,
è senza fine.
Se ti volti dall’altra parte,
ride alle tue spalle.
Lascialo cadere:
due anatre mandarine, quiete nello stagno.

 

Sforzato
è come un muro grigio di cemento.
Eppure, anche oggi,
le nuvole scorrono
nel cielo.

 

Nato non so dove,
vissuto lì per lì,
quando la luna sorge,
il mondo è visione.
La montagna ferma.
La mente nulla.

 

Cosa ti devo dire?
Seguivo la ruota del mondo,
ma i miei sandali erano pesanti di fango.
Ora basta!
Un vento pieno di meraviglia
accarezza ulivi d’argento.

 

Ebbene si!
Sono seguace del chan
e anche innamorato.
Quando Annina è lontana
il mondo mi assorda e frastorna.
Se vicino le siedo:
azzurro buddha
si rispecchia alla luna, d’argento.

 

Dal caos venire
e là tornare,
sempre primavera.
Non giungere,
non andare,
scivolare, onda senz’onda.

 

Paura:
stai lontano.
Impurità:
lasciare che il fango depositi
e avere compassione del pesce di fondo.

 

Mille parole neppure un significato
diecimila simboli
pieni
vuoti

 

Vicina è la profondità del cielo,
è blu
la sua forza yin nello yang.
Lontano lo spazio della terra,
gialla
la sua forza yang nello yin.
Così ogni cosa accade,
prima o poi,
mai adesso.

 

Lontano da tutto questo,
quieto e seduto,
un fanciullo incontaminato.
Prima di ogni cosa,
il cielo sereno.
Dopo ogni cosa,
il cielo sereno.

 

Ho scalato la mia montagna.
Alle spalle copioso sudore.
Sembrava irraggiungibile.
Ora ho la vita davanti.

 

Per me compagna
significa un orizzonte davanti
senso del tempo
e calore.

 

La verità non è un pronome
potrebbe essere un verbo
se non fosse, così, solitaria.
Dicono sia al di là delle parole.
Io
la dico
in un sorriso…
e nel vino.

 

II Sezione: dialoghi a Occidente
Quindi, spesso abbiamo
ascoltato
uccelli e campane vagare
nell’aria del mattino.
Abbiamo, poi, sepolto
ogni cosa.
E stiamo come foglie autunnali,
appese, ancora un poco,
con un’aria serale.

 

Stare
in uno spazio di nulla
dove esplodono fiori
al limite azzurro, nello sguardo
e nella bocca del dio e della dea.

 

Esploso sole, ritmato, autunnale,
l’aria rende ogni cosa netta,
universa.
E così la mente intarsiata di quadri fissi
si staglia di ghiaccio/trasparenza in
inquietudine…
e poi… che sarò domani?

 

La musica accade
e in larghi giri ti porta
via,
e non sei più tu.
E anche la notte accade
quando a lume di candela,
e in antichi riti
affaccendato,
giochi ancora con le parole,
e non sei più tu.
Da bambino ho imparato
un gioco
e mio padre mi era vicino,
insegnava a parlare:
c’è un triste destino
alla fine di questa strada
quando non sarai più tu
e nessun altro tu
risuonerà ancora,
ma qui è ora,
solo una parola ti riscalda,
mio piccino.

 

Ho lasciato la mia strada
per un lungo viaggio verso oriente
dimenticando che anche Bodhidharma
lo fece.
Dimenticando di tagliare la testa
di ogni buddhista che avessi incontrato.
dimenticando il sapore dell’ulivo e della quercia.
Così mi sono allontanato e perso
proprio in quei paradisi fumosi
da cui mi sembrava di essere salvo.
Oggi leggo che anche lo yoga
serve all’orgasmo e
all’ora d’aria in questo carcere organizzato ( orgasmizzato ).

 

A Sofia

Avevo blindato il mio cuore
per troppa paura d’amare
ma tu, scatenata, oggi mi mostri
quanto sai essere forte e, a tutti i costi,
libera, qui.
Non posso che amarti
e insieme a te imparare,
di nuovo, a piangere.

 

Lo zen, oggi

Quando il silenzio
esplode
non ti conosci più.
Non sei e perdi, così, una metà.
Poi la centrale ti informa, lo sai,
che quella era la parte che non conta.
L’uccellino nella gabbia non canta più,
ma ciò non significa che la porta sia aperta.
E nel silenzio, poi,
c’ è un segreto, lo sai,
e nessuno verrà ancora a cercarti.
Una storia chiusa sarai, che bello!
Stai là, congelato, non disturbare!
E se, imprudente, avrai mangiato fagioli
saranno tutti cazzi tuoi.

 

Certi allievi

Nel tentativo di sostituire il cinema
ho chiamato alla meditazione, il sabato,
mi hanno risposto che Richard era meglio.
Così potrei scegliere di restare un poco da solo
e scoprire che è meglio delle cattive compagnie.
Aspetto con gioia un altro autunno
e l’ inverno, poi, non mi spaventa più come un tempo…

 

Ad Annina, una lettera

Non potevo in questa controra non pensare
a te,
mio fiore, mia salda pianta mediterranea,
e, forse, al male che ti ho fatto, tante volte,
trascinandoti in quel mio stare là, appeso,
a poca distanza dal fango.
Questa mia, allora, sia
chiedere scusa che, lo so, non serve
e, forse, non basta, ma significa.
E guarda la mia faccia che è incrostata, ora,
di fango,
ma, non ancora, di cenere.

 

A Nietzsche

Insonne notte di guardia,
e la tua viola più non s’accorda
al suono lontano dell’alba.
Troppo in là, distante, sarà il mare
quando onda più non scivoli e i sassi
non si rincorrano ancora.
Oggi o mai
si possa cogliere il tuo argenteo e venato
riso
sulla cima di questo
mondo.

 

Spogliato l’io del desiderio suo
di prevalenza,
superi, allora, la colpa.
Non c’è più.
Dona, quindi, altrui la tua ragione
e rimani nudo d’orgoglio
poiché la superbia sola spinge
alla Ghiaccia antica
ove il peccato non sta nell’essere
ma
nell’esser più.

 

Piccole cose, fatte di niente,
stanze vuote dove lo spazio è tempo,
e dove il tempo altro che parvenza
non è.
Questa l’ora mia,
a cui rapida e lenta giunge la noia.
Non più parole nuove,
ma nebbia che ottunde e pesa.
Non più canto o danza,
ma scorrere di lima che consuma,
scatti interrotti come rumore d’officina.
(A questo dio non sacrifico più.
Almeno libero, ma non solo.)

 

Tempo e spazio.
Hai provato a pensarli come una sola cosa?
Non più due, ma figli della stessa illusione.
Tempo che è spazio
e spazio che è tempo,
non più divisi in sguardo duale,
ma insieme vissuti, nell’Essere.
Che poi, alla fine, non ti importa che l’Essere,
o, forse, neppure. Il vivere.

 

Pensare alla morte

Alba stirata
e notte che non è più notte.
Il pensiero si avvolge come una tapparella,
che altro non va
se non su
e giù.
Percorsi e sentieri,
come rivoli secchi,
dove non più s’accorda il respiro.
Tosse che scatta come una mitraglia stanca,
e solo consola il sapere,
questo, come un gioco già visto.
La mia faccia stanca trascolorerà nell’alba.

 

Epitaffio d’Io

Lucido e piano
ancor gioco con le parole.
Antico gioco, e piccino.
Lo seppi fin dal principio
che di questo non potevo che farne un nulla.
Il mio canto sarà, allora, per il fanciullo
che accarezza la fronte con la scusa del ciuffo.
Che spavento è la vita, mio caro,
soprattutto per te che vestiti non hai,
che sei nato più nudo dei nudi,
povero,
e a stento te la fatichi, la vita,
senza posto nel mondo,
e nel nero sprofondi.
È vero, ho imparato a lasciarti,
per volare su nubi come un vecchio cinese,
ma quando ti incontro,
tu, sai, sempre, abbracciarmi.
E, alla fine del conto, tu piangi al mio posto, bambino,
e mi siedi vicino, mi accompagni alla sorte,
ma a te resta solo la morte.

 

Stanze: anticamere della morte e della vita

Affrontare con il cuore di un piccolo
guerriero macedone,
privo di chioma e altisonante bronzo,
il resto della vita, i sipari aperti
e i deserti e le solitudini, insieme al dolore.
Non privo, mai, di stridor di denti,
non lontano, mai, dai tuoi occhi.
La bertuccia irrigidita della normalità,
la superi solo con l’amore.
Lasciandoti andare, abbandona le membra,
accogli, ogni cosa,
tu sei il tuo cuore.

 

La morte è ogni giorno, non diversa dalla vita,
Pura Coscienza si staglia e penetra, ovunque.
In una scelta, piega l’esistere verso il sorriso,
verso il colore, che scolora, quando dimentichi:
l’onda e…
il movimento, il fremito di meraviglia,
che, piantato tridente, scatena il flusso perenne:
della vita

 

Scrivere pagine d’amore,
scrivere con parole piccine,
pagine d’amore che scivolano,
volano, lente e leggere, là
dal vortice immobile di luce,
dalla grazia che è la vita stessa,
o la morte, se guardi piegando,
luce d’amore che raddrizza,
freddo calore che stupisce
nella meraviglia dell’incontro con
Dio.

 

La vita, come fanciulla appesa al balcone,
sorride ,
e luce dai tuoi occhi ( che sono quelli di Dio)
scaturisce in un fluido sereno
tempo e movimento.
Ho poi dimenticato e, ancora, ricordato
la fragile gioia che circonda l’esistere
dove l’io è niente se non pieno d’amore

 

Archeologia futura dell’Io

A Giovanni Pascoli

A un’altra eternità pensò Odisseo
spirando tra le braccia di Calypso.
Seme nascosto che non germoglierà
lunga e fluttuante chioma ventosa
che non lo cingerà, ormai.
I passi sulla spiaggia risuonano vuoti
e gabbiani furiosi anelano cibi proibiti.
“Eppure ancora amo”.
Arrotolato nella barba imbiancata, così,
borbottando, andava l’eroe, il viaggiatore,
nei rari momenti in cui non era
dimentico di sé.

 

Ti ricorderò, forse,
domani,
in altra vita e diversa
quando d’improvviso girando
lo sguardo
i tuoi occhi vedrò di un bimbo
come lastra lucente sul mare.
Tu ricorderai di me,
che solo la morte è certa.
Tale è la vita e i più non sanno.

 

E’ morto colui che diceva
sempre e per sempre
ora vive una luce incerta,
ma forte,
che, come un samurai,
non reputa di poca dignità
inchinarsi.

 

Cercami,
nella pioggia e nel vento,
come nelle giornate di sole
che la brezza spazza d’azzurro,
nel buon tempo primaverile abiterò
rami di pesco e ciliegio,
come durante le brume d’autunno
sarò castagna spinosa e lunghi prati di foglie
morte.
Ma cercami…

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